A volte lo urlano il problema, urlano contro tutto e tutti.
A volte tacciono, lo tengono dentro, stretto, cercando di nasconderlo.
Ma il disagio appare, comunque.
Un alunno che non va bene a scuola è veramente una persona in difficoltà.
Il disagio scolastico, a qualunque livello, di qualunque tipo o origine, è veramente brutto per lui.
È tanta parte della sua giornata che non funziona.
E se pure fosse originato da un problema appartenente all'ambito scolastico, è difficile che non abbia ripercussioni nel suo ambiente familiare.
E quando è nella famiglia che nasce, che si annida, allora, proprio, non ha scampo: è la sua vita di bambino o ragazzo che non funziona.
Non è che non studia, non si impegna, è svogliato, pigro, disturba, potrebbe fare di più: è che proprio non sa.
Sia che abbia un forte disturbo oppositivo provocatorio o uno straordinario pensiero creativo divergente non fa come deve, perché non lo sa fare.
Se è distratto, disordinato, non ha metodo.... è perché non può, non perché non vuole, non sa essere diversamente.
E allora?
"Cosa possiamo fare se la famiglia...la strada, il quartiere..".
"Cosa dobbiamo fare, finta di niente ?"
Nooo!
Lo possiamo e lo dobbiamo aiutare, non trasformandoci nelle tre scimmiette (muta cieca sorda) o scaricando su altri i nostri problemi, le nostre difficoltà e incapacità, ma concentrando la nostra attenzione in classe, nella scuola, mettendo in risalto positività, valorizzando risorse, proponendo alternative, rimuovendo ostacoli, confrontando strategie, ricercando nuove potenzialità, a partire da noi, dal nostro contesto.
Mi rendo conto che non è una cosa facile e a volte sembra un'impresa disperata, ma secondo me è utile sapere e capire da dove cominciare.
Ho usato di proposito la parola alunno nel titolo e nella parte iniziale dell'articolo perché ho la sensazione che a volte la frustrazione di non poter cambiare la sua vita è come se ci rendesse impotenti e in qualche modo giustificasse un mancato o fallito intervento.
Questa parola, alunno (non figlio, fratello, amico) può servire da confine, a delimitare e, se necessario, proteggere il campo di azione, a definirlo. A volte mi sono dovuta schermare tanto era grande il "problema" per poter vedere il buono e il bello che c'era.
A volte è stato necessario fare muro contro l'esterno per convogliare le energie.
Il più delle volte si tratta di fronteggiare, ma si può sempre seminare anche se non sempre, immediatamente raccogliere.
Stare nel "qui e ora" dà significato e valore al mio lavoro, concentra il mio aiuto in classe, a scuola : solo lì.
Perché solo quello che succede a scuola è mia responsabilità, nel senso che lì io posso e debbo intervenire.
Noi come insegnanti, possiamo aiutarlo a fare matematica- italiano-ecc, a scoprire se è bravo ad ascoltare o a raccontare, se sa leggere le immagini o le emozioni, se ha un buon orecchio o una bella mano, se è più a suo agio in una relazione individuale o in piccolo gruppo, se ha un rapporto privilegiato con un compagno o con un insegnante, se è bravo a pallavolo o appassionato di sport, se gli piace usare forbici e colla o pastelli e pennarelli... è da lì che possiamo partire a fare italiano-matematica-ecc.
E mentre impara possiamo aiutarlo a costruire relazioni sempre (un po') più positive ed efficaci in modo che lo stare a scuola sappia di buono.
Questo modo a me sembra normale, è da tanti anni che io aiuto gli alunni a gestire o fronteggiare difficoltà, non solo quelli certificati, ma tutti gli alunni della mia classe. Può succedere ad ognuno di aver bisogno di aiuto, di essere sostenuto o guidato in un momento della sua vita scolastica.
È questo il lavoro dell'insegnante, di tutti gli insegnanti.
Ma allora perché, io a scuola, mi sento don chisciotte?
Perché quando propongo di aiutare, confronto osservazioni, suggerisco strategie, apro soluzioni, sembra immediatamente che stia cercando di risolvere un mio problema?
Perchè ho l'impressione che il bisogno di parlare, di confronto, di fare gruppo, sia solo un mio bisogno o un bisogno di pochi?
Quando smetteremo di parlare dei problemi della famiglia e ci rimbocchiamo le maniche per affrontare quelli della scuola?
Quando usciremo dall'ottica della punizione- correzione ed entriamo in quella della valorizzazione- potenziamento o al limite della ristrutturazione?
È da tanto che la penso così: ragazzi intelligenti e capaci, puniti perché fastidiosi e svogliati, costretti a ripetere inutilmente anni di scuola, acuendo e accentuando problemi, anziché risolverli.
E ragazzi con ritardi di maturazione, lacune profonde, mandati avanti allo sbaraglio, zoppicando "perchè poverino si impegna": persone che fermandosi un po', avendo più tempo a disposizione, avrebbero probabilmente più possibilità di farcela.
È da tanto che cerco una risposta a queste e altre domande e ancora mi ci arrabbio... riprovo...ricomincio...
Patrizia Ruggiero Docente di sostegno SMS Fellini - Roma
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