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Una parola chiave: condivisione |
Cerchiamo uno spiraglio!!! |
di Ruggiero Patrizia - Orizzonte scuola |
È da un pò che è in voga:
"non c'è condivisione!"
"è necessaria la condivisione!"
"dobbiamo condividere"
Ma cos'è questa condivisione? A quali azioni corrisponde, come si concretizza.
La sento e mi stride. Cosa c'è che non va?.
Dai dizionari si possono individuare tre significati.
Il primo relativo all'adesione, partecipazione a idee o sentimenti altrui: condivido la tua opinione; condividono la passione per la montagna.
Il secondo come possibilità di accesso a risorse comuni da parte di utenti diversi: c. della stampante, di un appartamento
Il terzo riguarda il condividere sui social.
Ci leggo un intreccio stretto tra i concetti e le azioni del condividere e comunicare, sia nel primo che nel terzo significato.
È insita la funzione communicativa-divulgativa del far conoscere ti rendo noto, quella associativa dell'essere d'accordo la penso come te e una funzione di comprensione e partecipazione fisica o emotiva ti sono vicino.
In qualche modo è implicita una velocità di questo processo che, a volte, si realizza con un click. Sebbene sui social assuma più un aspetto di quantità che di qualità, di massa che di sostanza.
Nel primo significato invece, presupporrebbe un livello differente rispetto alla informazione, in quanto dovrebbe contenere una modalità di scambio, di mettere in comune, di pensare e ragionare insieme. Sentire e percepire con altri: un processo lungo, di profondità.
Nella scuola "condivisione" è la parola che idealmente viene proposta come il cardine e l'emblema del nuovo, il frutto dell'innovazione, anche in relazione all'aumentata velocità ed estensione della comunicazione.
È la parola-modalità che dovrebbe unirci, metterci in contatto, incanalarci sulla stessa linea d'onda.
Nella realtà invece, oscilla tra due opposti. Da una parte appare più come una chimera, una meta alla quale aspirare continuamente, ma quasi irraggiungibile mentre ne acchiappi uno te ne sfugge un'altro.
Oppure si profila come un ostacolo, in quanto condizione imprescindibile, necessità "sine qua non" se non siamo tutti d'accordo le mie azioni sono inefficaci
In effetti quello che tocchiamo continuamente con mano è proprio la difficoltà di comunicazione.
Sembra assurdo ma, nell'era dell'esplosione dei mezzi mediatici, cellulari e internet, con mail, wa, telefonate e piattaforme, skipe, oltre che i tradizionali bacheche, cartelloni, fotocopie, avvisi circolari- e non so chi più ne ha più ne metta- la situazione con la quale ci scontriamo ancora e continuamente è :"io non lo sapevo!- e subito dopo, a discolpa- non sono stata informata/o!"
È come se fosse l'informazione a doverci venire incontro, come se ci dovessimo andare a sbattere e non andarcela a cercare!
E d'altronde, nella mole a volte travolgente, si innesca la difficoltà di cernita dell'informazione utile e diretta da quella divulgativa-conoscitiva.
Anche quello un lavoro non da poco.
Comunque, credo che il significato vero e profondo nella testa di molti, a scuola, sia che la parola condivisione rappresenti una forma di "dictat": essere tutti informati, tutti uniformati.
Di pensare tutti allo stesso modo. Di essere tutti capaci di fare le stesse cose, di ottenere gli stessi risultati. Essere tutti a conoscenza di tutto.
Si concretizza quindi con la ricerca, quasi esasperante, di creare modelli, elaborare format, preparare griglie, stabilire livelli e fare riferimento a standard, che siano buoni per tutti e rispondano alle esigenze di tutti.
Ma è davvero questa la strada che vogliamo dobbiamo-possiamo intraprendere?
QUESTA sembra più la solita modalità di mettere su muri e individualismi.
Non so se la scuola "media" è funzionale o migliorabile - da tanto e ripetutamente si parla di una riforma proprio di questo segmento di scuola- così come è articolata.
Per esempio, nella divisione oraria, si parla spesso della sperequazione tra insegnamenti, differenze di monte ore e peso delle discipline.
Ma intanto, mentre ragiono e rifletto, provo dare un senso a quello che faccio.
Nella mia funzione di insegnante di sostegno mi trovo in situazioni molto diverse e in presenza contemporanea con insegnanti che adottano strategie e metodi anche opposti, che si pongono in relazione con i ragazzi in modo anche contrastante.
Nella mia lunga carriera sono passata attraverso disagi e smarrimenti. Ho vissuto solitudini, quelle strane che provi quando stai in mezzo alla gente. Il mio è un ruolo speciale, che altri docenti possono non sperimentare mai. Loro possono restare chiusi nella sicurezza e circoscritti nel mondo della loro ora, della loro classe o anche concentrati solo sul proprio obiettivo.
Mi sono resa conto che non sentono il bisogno e non capiscono il mio bisogno di "condivisione".
Come posso fare affinché questa cosa abbia un senso per me e per loro?
Ho provato ad attuare strategie passando dal "camaleontismo" alla guerra fredda. Ho provato a parlare, scrivere, chiedere, raccontare.
Ora sto provando a cercare alleanze con la parte personale o professionale, a seconda della maggiore affinità che trovo, e mi oriento a valorizzare la diversità del mio collega.
Io mantengo la mia funzione di aiuto e rinforzo i ragazzi ad affrontare le diverse modalità/ difficoltà della "mancata condivisione".
Nello stesso modo, quando ci riuniamo per prendere decisioni collegiali e vediamo lo stesso ragazzo in modo completamente diverso, possiamo solo cercare un punto intermedio.
Non può essere che abbiamo la stessa percezione di persona io, che conosco i ragazzi da due anni e sto con loro per dodici ore e faccio un certo tipo di lavoro, e una collega di francese, appena arrivata che ha solo due ore e possibilmente le seste.
Possiamo solo vedere aspetti diversi! E a volte, ad esempio, un voto di comportamento può essere il risultato di "una media", una lettura intermedia di due aspetti opposti, tra me che vedo la sua capacità di fronteggiare un compagno con gravi problemi comportamentali e lei che lo vede distratto, che chiacchiera.
Fatta salva una coerenza personale-professionale, la cosa fondamentale è che il risultato di questo complesso processo sia chiaro per chi lo riceve.
Noi lavoriamo tutti per i nostri alunni ed è a loro che va restituita una chiave di lettura che sia per loro, utile e formativa.
Allora può essere un vantaggio avere occhi diversi con cui guardarli: consapevoli di quello che agiamo e attribuendo valore e significato alla situazione nella quale ci troviamo.
Condividere secondo me può voler dire sforzarsi di ascoltare e comprendere il punto di vista dell'altro, legittimo e ugualmente apprezzabile come il nostro e cercare la "risultante tra due o più vettori".
Una strada ancora tutta da intraprendere, ricercare e sperimentare!!!!
di Patrizia Ruggiero
docente di sostegno, IC Belforte del Chienti - Roma, counsellor
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